lunedì 16 febbraio 2009

Corrado Ocone: intervista

Riflessioni attuali.

D. Quale lettura dovrebbe darsi oggi del rapporto fra liberalismo e laicità?

R. Ho sempre inteso la laicità come parte di una più generale concezione del mondo di tipo liberale, come il liberalismo circoscritto e applicato a un determinato ambito di questioni, a quelle cioè che concernono il rapporto tra le convinzioni private dei singoli e l'azione dei singoli nello spazio pubblico.
Il principio laico è un principio di separazione, come è chiaro nel monito cavouriano
"Libera Chiesa in libero Stato", che oggi potremmo volgere così: "Libere Chiese o confessioni e libero Stato".
Credo che una buona illustrazione di come funzioni il principio laico la abbia data John Rawls in Liberalismo politico (1993). Lo spazio pubblico, cioè appunto politico, nelle società laiche o liberali presuppone, secondo il teorico della giustizia recentemente scomparso, un "consenso per intersezione": il punto d'accordo o anche di compromesso sulle questioni pubbliche che ci stanno a cuore lo si può trovare solo a condizione che noi quando entriamo nell'agone politico dismettiamo i nostri abiti morali, ovviamente nel senso dell'etica della convinzione.
La laicità segnala questa "sottrazione", questo anteporre nella sfera pubblica le verità penultime alle verità ultime. La "sottrazione" non significa però impoverimento: solo "sottraendo" gli uomini possono dialogare e non scannarsi.
La "superiorità" del principio laico è pertanto pratica e non teorica: la laicità è quel metodo teso a eliminare la violenza ideologica in senso lato dalle nostre società.
Ecco allora che l'etica, scacciata dalla porta, rientra dalla finestra: a suo modo il principio laico, come quello liberale di cui è parte, lungi dall'essere espressione di relativismo morale, è espressione di una diversa e superiore moralità: di chi crede nella dignità intangibile di ogni uomo e quindi nel diritto che ogni individuo ha ad essere autonomo, cioè letteralmente a darsi da sé la propria legge.

D. Intendere la laicità come metodo di confronto ne svilisce il senso, oppure - al contrario - lo accoglie in una concezione alta e fondante della necessaria centralità della laicità, oggi più che mai?

R. La laicità è metodo e non sistema: indica una sensibilità e un modo di affrontare le questioni, piuttosto che un astratto e sovrastorico insieme di "ricette" pronte per l'uso.
Quando la laicità si fa sistema, essa diventa laicismo. Il laicista è colui che ipostatizza il principio laico, non lo metto più in gioco: colui che, ad esempio, prende delle soluzioni valide in un contesto, mettiamo quello ottocentesco italiano, e le traspone del tutto differenti. Il laicismo è, in questo senso, un'ideologia simile a quelle che combatte, seppure con il segno cambiato. La laicità, proprio perché espressione di una superiore moralità, è sempre sul punto di contraddirsi, di diventare altro da sé, di farsi da metodo sistema. La laicità è equilibrio e giusta misura, ma lo spazio di medietà che perviene ad essa è sempre precario e si realizza parzialmente solo mercé una coscienza vigile e continuamente in lotta. La moralità laica non è facile: l'uomo laico ha una finezza e una sensibilità non comuni, è un uomo "coltivato".

D. Nel lemma "laicità" che lei sta curando per un lessico di prossima uscita, si legge "Di fronte alla chiusura delle religioni, in primo luogo di quella cattolica che giudica "indisponibile" il dato della vita, c'è sia l'esigenza laica di salvaguardare la libertà della ricerca scientifica sia l'importantissima e concreta possibilità di approntare strumenti per la guarigione, fino a ieri ritenuta impossibile, di tante persone colpite da vari tipi di malattie genetiche o ereditarie. Anche in questo caso, essendo in gioco valori ultimi e questioni di principio, trovare un compromesso non è facile o è impossibile. Di fronte a chi perora con forza le ragioni dell'etica della convinzione, difendere le buone ragioni dell'etica laica della responsabilità è compito immane, ma non derogabile". "Compito immane, ma non derogabile"; un giusto ammonimento o anche un piccolo rimprovero per alcuni accenti che si sono sentiti da parte laica nel rinnovato dibattito proprio intorno alle cosiddette questioni "eticamente sensibili"?

R. Beh, mi riferivo a quanto detto precedentemente: "compito immane" perché l'ideale laico e liberale non è un ideale di quiete; "compito non derogabile", proprio perché bisogna evitare che l'ideologia, religiosa e non, faccia scannare gli uomini. Quando al nostro dibattito politico attuale, beh è difficile dire qualcosa di sensato: non si capisce mai bene quando le affermazioni dei nostri politici, anche e forse soprattutto della maggioranza, siano sincere e quando invece siano mosse da tatticismi e opportunismi politici, dalla volontà di ingraziarsi le gerarchie cattoliche e di strizzare l'occhio alla (…) interessata Curia romana.

D. Lei scrive che "in Italia maestri di laicità sono stati cattolici del calibro di Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e Carlo Arturo Jemolo, per fare solo qualche nome". Qualche nome di oggi?

R. Purtroppo sulla scena politica cattolica vedo solo personaggi minori, non all'altezza di quei grandi. I politici cattolici odierni sono, per lo più, politici opportunisti e ipocriti.
Sinceramente nomi di quel genere non me ne vengono in mente.

D. Molto interessante - alla voce liberalismo del sopra citato lessico - è la definizione che lei dà del rapporto tra socialismo e liberalismo. A chiusura di tale definizione si legge che "una robusta tradizione di socialismo liberale è maturata, nel corso del Novecento, anche in Italia, da Piero Gobetti a Norberto Bobbio passando per Guido Calogero, Guido De Ruggiero e il Partito d'Azione". Secondo lei, oggi ci sono spazi e opportunità reali perché le istanze del socialismo liberale trovino espressione politica in Italia?

R. Capisco lo stato d'animo di persone come de Giovanni, un autentico socialista liberale, uno dei pochissimi ex comunisti che ha fatto i conti fino in fondo con l'ideologia marxista: ha investito emotivamente e moralmente nella Rosa nel pugno e, non certo per sua colpa, alla fine…si è punto. La situazione del socialismo liberale oggi in Italia, a mio avviso, non è facilmente decifrabile, o meglio è passibile di sviluppi non facilmente prevedibili: del socialismo liberale, ma direi del liberalismo in genere, in Italia c'è oggi necessità da un punto di vista ideale e anche pratico, ma questa necessità cozza purtroppo con un DNA del nostro Paese, diciamo così, profondamente non liberale. In Italia non si è mai creata, per evidenti motivi storici, una cultura liberale diffusa, ovvero tale cultura ha sempre avuto corso in élite ristrette seppure non sempre marginali. Ci sarebbe bisogno, ce lo ripetiamo ormai da quindici anni, di una generale "rivoluzione liberale" delle coscienze, a destra come a sinistra. Se ciò avvenisse, risulterebbe anche chiaro, ad una parte non irrilevante degli italiani, che i principi storici della sinistra, l'uguaglianza e la libertà, sono oggi garantiti non da una concezione tradizionale (o radicale o massimalista) della sinistra ma da una concezione di essa riformistica, gradualistica, antiperfezionistica e per ciò stesso liberale.

27 novembre 2007

Corrado Ocone, responsabile editoriale della Luiss University Press, saggista e pubblicista, si occupa di temi concernenti la teoria del liberalismo. Fra le sue pubblicazioni: "Bobbio ad uso di amici e nemici" (a cura di, Venezia 2003), "Benedetto Croce. Il liberalismo come concezione della vita" (Soveria Mannelli 2005).
Intervista concessa a "LibMagazine".
(
http://inoz.ilcannocchiale.it/2007/10/08/liberalismo_laicita_socialismo.html)

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