lunedì 23 febbraio 2009

Art.3 Osservatorio sulle discriminazioni - Mantova









DISCRIMINAZIONI

In relazione alla difficile congiuntura economica, alla anomala e strumentale uniformità contenutistica dei grandi mezzi di informazione, alle difficoltà di tenuta costituzionale del nostro sistema politico, riteniamo sia fortemente possibile il riaffermarsi nelle nostre comunità di atteggiamenti poco visibili, ma non per questo meno preoccupanti, di discriminazione, non solo su base etnica ma anche per differenze di natura religiosa, culturale o ideologica.

Le discriminazioni, contrariamente a ciò che viene divulgato dalle principali fonti di informazione, non attengono soltanto a problemi di ordine pubblico e di convivenza con le comunità straniere presenti nel nostro Paese, ma in misura più sensibile ai diritti civili, politici ed economici della cittadinanza italiana.

Esse si diffondono e colpiscono, in molte aree del Paese ed in modo tacito ma diffuso, anche i cittadini italiani che non godono di un regime sociale o professionale di speciale tutela o privilegio.
Ciò può accadere nella vita sociale, politica, negli ambienti lavorativi, nelle scuole e nelle università, nell’ambito economico e infine nello svolgimento delle attività d’impresa attraverso
la gestione clientelare e discriminata di sostegni finanziari e sgravi.

Tutto questo in evidente contrasto con i principi saldi e con maggiore forza sempre più ribaditi
in sede Comunitaria e nelle Carte Costituzionali e dei Diritti che definiscono lo statuto di cittadinanza di ogni persona che svolga la sua vita nel territorio nazionale e dell’Unione.


Veronalaica ordinerà le sue iniziative per il contrasto legale alle discriminazioni anche in considerazione delle indicazioni che mergeranno dal lavoro e dalle valutazioni di Art. 3 Osservatorio sulle discriminazioni (Mantova).
Si considera l’Osservatorio centro istituzionalizzato ed operativo di eccellenza territoriale per la lotta alle discriminazioni.


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Si segnala inoltre:

http://europa.eu/pol/rights/index_it.htm

http://europa.eu/pol/rights/overview_it.htm

http://europa.eu/scadplus/leg/it/s18000.htm

http://europa.eu/scadplus/leg/it/lvb/l33113.htm

http://www.stop-discrimination.info/7769.0.html

http://www.centrodirittiumani.unipd.it/

domenica 22 febbraio 2009

Europa e libertà religiosa

Anche per chi valuta imprescindibile la presenza delle religioni nella sfera pubblica non è possibile non tenere conto dell'impostazione che nel progetto di Costituzione Europea è stato
dato alla laicità delle istituzioni comunitarie ed alla non prevalenza di specifici valori religiosi.

Nel prembolo della Carta di Nizza (Carta europea dei diritti fondamentali; 7 dicembre 2000) che forma parte integrante della Costituzione Europea si dice:
I popoli europei nel creare tra loro un'unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.
Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l'Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto.
Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

Il preambolo della Costituzione inoltre richiama:

le eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia,
dell'uguaglianza, e dello Stato di diritto;

la volontà dell'Unione di avanzare sulla via della civiltà, (...) di restare un continente aperto alla cultura, al sapere e al progresso sociale;

la volontà di unità nella diversità.

Una volta trasferita in questa dimensione, ogni convinzione religiosa deve convivere in modo paritario con altre opinioni religiose e laiche.
Ogni pretesa di affermazione di superiorità della dimensione religiosa o di una specifica tradizione religiosa contrasterebbe innanzitutto uno dei principi fondamentali dell'Unione e degli Stati che la compongono che è quello dello "stato di diritto".


Il punto di vista dei credenti.

La firma, il 29 ottobre 2004, del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa segna in maniera indelebile il futuro di centinaia di milioni di europei.

Gran parte di essi, oltre che cittadini dell’Unione, sono fedeli appartenenti ad una delle molte confessioni religiose presenti sul territorio dell’Europa. Confessioni diverse per numero di aderenti, per tradizioni, radicamento e diffusione sul territorio, ma anche per condizione giuridica garantita dagli ordinamenti degli Stati membri.

La Carta fondamentale degli Europei, pur con le sue contraddizioni, ha provato a dare un segno del significato che l’elemento “religione” avrà nel suo futuro.

Il dibattito che ha preceduto la conclusione dei lavori della Convenzione è stato in gran parte monopolizzato dalla questione dell’opportunità o meno di inserire all’interno del Preambolo un richiamo alle “radici cristiane” d’Europa.
La scelta finale del riferimento “alle eredità culturali, religiose e umanistiche” se in parte ha deluso le aspettative di molti, non ha però abbassato il livello d’attenzione che la Costituzione per l’Europa presenta per i temi legati alla “dimensione religiosa” nella triplice dimensione: individuale, associata ed istituzionale.

E' sufficiente scorrerne il testo per individuarne i passaggi essenziali. Dalle classiche previsioni a tutela della libertà religiosa (art. II-70, Libertà di pensiero, di coscienza e di religione, ma anche l’art. III-121 relativamente ai riti religiosi) e contro ogni forma di discriminazione (art. II-81, Non discriminazione e artt. III-118 e III-124); ai significativi richiami al rispetto della diversità (art. II-82, Diversità culturale, religiosa e linguistica) e al diritto dei genitori a provvedere all'educazione e all'istruzione dei figli nel rispetto delle loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche (art. II-74, Diritto all'istruzione).

Ma è l’art. I-52 (Status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali) che finisce col proporsi come norma di riferimento. Fa proprio il principio del rispetto di quanto stabilito dal diritto ecclesiastico dei singoli Stati membri relativamente alla condizione giuridica di chiese, associazioni o comunità religiose. E però allo stesso tempo assume un impegno, quello del dialogo aperto, trasparente e regolare con chiese e organizzazioni, che vuole caratterizzare dinamicamente le relazioni tra l'Unione europea e queste ultime.

E’ dunque ancora una volta la strada del dialogo e della collaborazione, già sperimentata in numerosi degli Stati dell’Unione, quella intrapresa da una Europa che senza rinunciare alla propria connotazione laica, riconosce l’importanza del “contributo specifico” che le confessioni religiose possono offrire. Un contributo che potrebbe essere decisivo in relazione alla necessità di ammortizzare possibili situazioni conflittuali determinate dall’aumento di disomogeneità religiosa determinato dai consistenti flussi migratori extraeuropei ed intraeuropei.

Attenzione particolare dovrà, dunque, essere posta all’assetto normativo previsto in ciascuno degli Stati membri, ma anche alle tematiche trasversali che vedono l’Unione quale soggetto attivo di politiche a tutela dei propri cittadini che interessano la dimensione religiosa: basti richiamare il già ricordato impegno a favore del superamento di ogni forma di discriminazione.

(tratto da: http://www.olir.it/areetematiche/83/index.php#Approfondire)

giovedì 19 febbraio 2009

Antitesi: laicità vs. autoreferenzialità

La laicità non è un principio astratto: è un modo molto concreto ed attento dell’essere politico e del “fare politica”, è ciò che dà senso compiuto al termine democrazia.

Oggi si manifesta in piazza per la laicità e la democrazia, ma fino a ieri per questo tema vi è stata da parte delle forze politiche che intendono porsi in difesa (anche) di questo principio distrazione e sufficienza, e da parte delle aggregazioni sociali che all’area laica in senso lato fanno riferimento, frammentazione, personalismi e incapacità di dialogo.

Chi è laico lo è sempre, e sempre manifesta tolleranza, apertura, disponibilità verso chi non conosce, chi è diverso, chi è minoritario.
Chi è laico concretizza questa sua scelta in ogni circostanza dell’agire politico e mantiene questo “stile” sempre, ovunque e con chiunque, nelle istituzioni e nella vita civile.

Molte di quelle persone che oggi rivendicano laicità per lo Stato e le leggi, praticano l’antitesi della laicità che è l’autoreferenzialità.
Un male che si continua ostinatamente a mostrare, che è stato la principale causa della pesante sconfitta dei movimenti democratici in tutto il paese, come prima caratteristica negativa di una politica provinciale e meschina.
Una scelta di fondo di un’intera area intellettuale e della correlata classe politica, molto spesso in realtà succubi e prone rispetto al potere espresso dagli ambiti confessionali oggi criticati.

Non si può che condividere ed approvare la pubblica e diffusa richiesta di laicità delle istituzioni e delle norme che regolano la nostra vita, ma non si può riconoscere legittimazione a chi rispetto
a questa posizione fino ad oggi non ha dimostrato, con fatti compiuti volontà di esposizione sociale e politica.

Molte di queste persone, che da decenni si interrogano retoricamente sull’insuccesso e sulla scarsa presa della cultura laica nel nostro Paese, oggi che questo "essenziale problema" della democrazia italiana malgrado tutto è salito alla ribalta delle cronache, vorranno salire in cattedra per dirci cos’è la laicità, continuando a non ricevere sostanziale e diffuso ascolto.

I cittadini liberi e laici, quanti essi siano non ha alcuna importanza, osservano, compostamente giudicano e sanno riconoscere nelle prassi e nelle azioni quotidiane il tasso di
democratica autenticità e di laicità delle rappresentanze che tali vorrebbero essere.

L’autorevolezza e la rappresentatività sono insite nell’agire.
L’agire è sociale e politico, non accademico.

lunedì 16 febbraio 2009

Corrado Ocone: intervista

Riflessioni attuali.

D. Quale lettura dovrebbe darsi oggi del rapporto fra liberalismo e laicità?

R. Ho sempre inteso la laicità come parte di una più generale concezione del mondo di tipo liberale, come il liberalismo circoscritto e applicato a un determinato ambito di questioni, a quelle cioè che concernono il rapporto tra le convinzioni private dei singoli e l'azione dei singoli nello spazio pubblico.
Il principio laico è un principio di separazione, come è chiaro nel monito cavouriano
"Libera Chiesa in libero Stato", che oggi potremmo volgere così: "Libere Chiese o confessioni e libero Stato".
Credo che una buona illustrazione di come funzioni il principio laico la abbia data John Rawls in Liberalismo politico (1993). Lo spazio pubblico, cioè appunto politico, nelle società laiche o liberali presuppone, secondo il teorico della giustizia recentemente scomparso, un "consenso per intersezione": il punto d'accordo o anche di compromesso sulle questioni pubbliche che ci stanno a cuore lo si può trovare solo a condizione che noi quando entriamo nell'agone politico dismettiamo i nostri abiti morali, ovviamente nel senso dell'etica della convinzione.
La laicità segnala questa "sottrazione", questo anteporre nella sfera pubblica le verità penultime alle verità ultime. La "sottrazione" non significa però impoverimento: solo "sottraendo" gli uomini possono dialogare e non scannarsi.
La "superiorità" del principio laico è pertanto pratica e non teorica: la laicità è quel metodo teso a eliminare la violenza ideologica in senso lato dalle nostre società.
Ecco allora che l'etica, scacciata dalla porta, rientra dalla finestra: a suo modo il principio laico, come quello liberale di cui è parte, lungi dall'essere espressione di relativismo morale, è espressione di una diversa e superiore moralità: di chi crede nella dignità intangibile di ogni uomo e quindi nel diritto che ogni individuo ha ad essere autonomo, cioè letteralmente a darsi da sé la propria legge.

D. Intendere la laicità come metodo di confronto ne svilisce il senso, oppure - al contrario - lo accoglie in una concezione alta e fondante della necessaria centralità della laicità, oggi più che mai?

R. La laicità è metodo e non sistema: indica una sensibilità e un modo di affrontare le questioni, piuttosto che un astratto e sovrastorico insieme di "ricette" pronte per l'uso.
Quando la laicità si fa sistema, essa diventa laicismo. Il laicista è colui che ipostatizza il principio laico, non lo metto più in gioco: colui che, ad esempio, prende delle soluzioni valide in un contesto, mettiamo quello ottocentesco italiano, e le traspone del tutto differenti. Il laicismo è, in questo senso, un'ideologia simile a quelle che combatte, seppure con il segno cambiato. La laicità, proprio perché espressione di una superiore moralità, è sempre sul punto di contraddirsi, di diventare altro da sé, di farsi da metodo sistema. La laicità è equilibrio e giusta misura, ma lo spazio di medietà che perviene ad essa è sempre precario e si realizza parzialmente solo mercé una coscienza vigile e continuamente in lotta. La moralità laica non è facile: l'uomo laico ha una finezza e una sensibilità non comuni, è un uomo "coltivato".

D. Nel lemma "laicità" che lei sta curando per un lessico di prossima uscita, si legge "Di fronte alla chiusura delle religioni, in primo luogo di quella cattolica che giudica "indisponibile" il dato della vita, c'è sia l'esigenza laica di salvaguardare la libertà della ricerca scientifica sia l'importantissima e concreta possibilità di approntare strumenti per la guarigione, fino a ieri ritenuta impossibile, di tante persone colpite da vari tipi di malattie genetiche o ereditarie. Anche in questo caso, essendo in gioco valori ultimi e questioni di principio, trovare un compromesso non è facile o è impossibile. Di fronte a chi perora con forza le ragioni dell'etica della convinzione, difendere le buone ragioni dell'etica laica della responsabilità è compito immane, ma non derogabile". "Compito immane, ma non derogabile"; un giusto ammonimento o anche un piccolo rimprovero per alcuni accenti che si sono sentiti da parte laica nel rinnovato dibattito proprio intorno alle cosiddette questioni "eticamente sensibili"?

R. Beh, mi riferivo a quanto detto precedentemente: "compito immane" perché l'ideale laico e liberale non è un ideale di quiete; "compito non derogabile", proprio perché bisogna evitare che l'ideologia, religiosa e non, faccia scannare gli uomini. Quando al nostro dibattito politico attuale, beh è difficile dire qualcosa di sensato: non si capisce mai bene quando le affermazioni dei nostri politici, anche e forse soprattutto della maggioranza, siano sincere e quando invece siano mosse da tatticismi e opportunismi politici, dalla volontà di ingraziarsi le gerarchie cattoliche e di strizzare l'occhio alla (…) interessata Curia romana.

D. Lei scrive che "in Italia maestri di laicità sono stati cattolici del calibro di Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e Carlo Arturo Jemolo, per fare solo qualche nome". Qualche nome di oggi?

R. Purtroppo sulla scena politica cattolica vedo solo personaggi minori, non all'altezza di quei grandi. I politici cattolici odierni sono, per lo più, politici opportunisti e ipocriti.
Sinceramente nomi di quel genere non me ne vengono in mente.

D. Molto interessante - alla voce liberalismo del sopra citato lessico - è la definizione che lei dà del rapporto tra socialismo e liberalismo. A chiusura di tale definizione si legge che "una robusta tradizione di socialismo liberale è maturata, nel corso del Novecento, anche in Italia, da Piero Gobetti a Norberto Bobbio passando per Guido Calogero, Guido De Ruggiero e il Partito d'Azione". Secondo lei, oggi ci sono spazi e opportunità reali perché le istanze del socialismo liberale trovino espressione politica in Italia?

R. Capisco lo stato d'animo di persone come de Giovanni, un autentico socialista liberale, uno dei pochissimi ex comunisti che ha fatto i conti fino in fondo con l'ideologia marxista: ha investito emotivamente e moralmente nella Rosa nel pugno e, non certo per sua colpa, alla fine…si è punto. La situazione del socialismo liberale oggi in Italia, a mio avviso, non è facilmente decifrabile, o meglio è passibile di sviluppi non facilmente prevedibili: del socialismo liberale, ma direi del liberalismo in genere, in Italia c'è oggi necessità da un punto di vista ideale e anche pratico, ma questa necessità cozza purtroppo con un DNA del nostro Paese, diciamo così, profondamente non liberale. In Italia non si è mai creata, per evidenti motivi storici, una cultura liberale diffusa, ovvero tale cultura ha sempre avuto corso in élite ristrette seppure non sempre marginali. Ci sarebbe bisogno, ce lo ripetiamo ormai da quindici anni, di una generale "rivoluzione liberale" delle coscienze, a destra come a sinistra. Se ciò avvenisse, risulterebbe anche chiaro, ad una parte non irrilevante degli italiani, che i principi storici della sinistra, l'uguaglianza e la libertà, sono oggi garantiti non da una concezione tradizionale (o radicale o massimalista) della sinistra ma da una concezione di essa riformistica, gradualistica, antiperfezionistica e per ciò stesso liberale.

27 novembre 2007

Corrado Ocone, responsabile editoriale della Luiss University Press, saggista e pubblicista, si occupa di temi concernenti la teoria del liberalismo. Fra le sue pubblicazioni: "Bobbio ad uso di amici e nemici" (a cura di, Venezia 2003), "Benedetto Croce. Il liberalismo come concezione della vita" (Soveria Mannelli 2005).
Intervista concessa a "LibMagazine".
(
http://inoz.ilcannocchiale.it/2007/10/08/liberalismo_laicita_socialismo.html)

lunedì 9 febbraio 2009

Corte Costituzionale sent. n. 203/1989

"il principio supremo della laicità dello Stato
è uno dei profili della forma di Stato delineata nella
Carta costituzionale delle Repubblica"
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Piero Calamandrei descriveva la nostra come una "Costituzione presbite", dunque capace di guardare lontano e di inglobare il futuro.
Risponderebbe oggi il capo del Governo senza esitazioni che Calamandrei era "un comunista".
Sarebbe vano ricordargli che "i principi supremi" della Costituzione non possono essere modificati neppure con il procedimento di revisione costituzionale, e che tra questi principi supremi vi è proprio quello di laicità, perdutosi in questo clima di sottoposizione della Costituzione alla “cura e tutela” vaticana.
Inutile sarebbe anche ricordare che esiste un principio di prassi costituzionale che impone al Governo di dare copertura istituzionale al Presidente della Repubblica, sì che ci si doveva attendere una protesta ufficiale per la dichiarazione ufficiale vaticana di "delusione" per il comportamento di Giorgio Napolitano.
L'obiettivo dell'aggregazione di potere oggi al governo del paese è chiaro.
Rompere con la Costituzione repubblicana e lo stato liberal democratico, infrangere il patto costituzionale e civile tra i cittadini, non per entrare in una Terza o Quarta Repubblica, ma per un radicale cambiamento di regime, con un processo forzato ed eversivo, verso una radicale sostituzione del governo della legge con quello degli uomini (vedasi: Platone). Si potrebbe parlare di una palese deriva bonapartista o riferendosi ad esperienze più recenti ad un situazione di tipo cileno.
Oggi è’ in corso una vicenda che sta a metà tra "Napoleone il piccolo" (Victor Hugo) e “la resistibile ascesa di Arturo Ui" (Bertolt Brecht)
Si tratta di una ascesa non ineluttabile, resistibile, ma si deve acquisire la coscienza storica del momento e la necessità assoluta di “resistere” superando divisioni e contraddizioni, diversamente non vi sarà più tempo per ripensamenti e pentimenti.

domenica 8 febbraio 2009

Giuseppe Giulietti: fermiamo l'assalto alla Costituzione

Il presidente Napolitano non firmerà il decreto per sospendere la sentenza relativa a Eluana Englaro. Silvio Berlusconi ha annunciato la sua intenzione di convocare le camere d’urgenza, far approvare una nuova legge e se dovesse essere necessario cambiare la Costituzione.Appena qualche ora prima la maggioranza aveva approvato una legge che ha recepito nell’ordinamento repubblicano elementi di razzismo e xenofobia, sino a regolarizzare le ronde padane e a imporre la delazione ai medici.
Persino nelle fila della destra si sono udite voci preoccupate e sdegnate da quella del presidente della commissione antimafia Pisanu a quella del presidente della regione Veneto Galan.Non sappiamo se Gianni Letta costringerà Berlusconi alla solita finta rettifica, ma quanto sta accedendo corrisponde ad una scelta lungamente meditata e premeditata.Con questa mossa il presidente del consiglio cerca di stringere una santa alleanza con le gerarchie vaticane e di lanciare l’assalto finale nei confronti del presidente Napolitano che rappresenta l’ultimo ostacolo sulla strada di una repubblica presidenziale a reti unificate di tipo plebiscitario. Per queste ragioni non ci hanno mai convinto le campagne tese a colpire l’arbitro e il supremo garante della Costituzione.La vita e la morte di Eluana, la sua sofferenza, la disperazione del padre e dei familiari non hanno alcun posto in questa brutta, lurida, cinica scelta politica:“Sconcertante, stanno manomettendo la costituzione, tentano di sospendere per decreto una sentenza”, questo il commento del professor Stefano Rodotà alla decisione del governo.Si tratta di un vero e proprio assalto alla costituzione che va ben oltre il caso EnglaroBerlusconi, in modo irresponsabile, sta tentando di giocare la carta della guerra di religione, della contrapposizione tra credenti e non credenti. Guai a cascare in questa trappola!Bisogna, invece, lavorare alla costruzione di un grande fronte che unisca quanti hanno a cuore lo stato di diritto, la divisione dei poteri, la legalità repubblicana e costituzionale.
Di fronte al torbido quadro che si sta configurando è forse giunto il momento di riunire e tutte le forze politiche di opposizione, presenti o meno nel parlamento nazionale, e di concordare una serie di inziative comuni sino alla convocazione di una grande manifestazione unitaria che metta insieme tutti quegli italiani che non intendo alzare bandiera bianca di fronte alla prepotenza e all’arbitrio.Ci sono dei momenti nei quali bisogna essere capaci di mettere da parte rancori, gelosie, narcisimi di varia natura, prima che sia troppo tardi.Questo è uno di quei momenti.

Giuseppe Giulietti (Micromega online 6 febbraio 2009)

Hans Kung il principale teologo cattolico

venerdì 6 febbraio 2009

ATTACCO ALLA COSTITUZIONE ED ALLA LAICITA' DELLO STATO


Veronalaica considera ciò che è avvenuto il 9 febbraio 2009 per opera del Capo del governo uno dei più gravi episodi di degrado della vita politica dalla costituzione della Repubblica.
Una arrogante ed antistorica presa di posizione contraria ad ogni principio democratico e prassi costituzionale. La manifestazione più palese della graduale affermazione di un regime intransigente, illiberale e confessionale.

Invitiamo ogni cittadino veronese che creda nella laicità delle istituzioni, nella democrazia, nella libertà di scelta a prendere contatto con Veronalaica per trovare momenti di confronto e mobilitazione.
Ogni risorsa, ogni pensiero, ogni gesto, ogni presenza e solidarietà oggi diventano preziosi per sé stessi e per tutta la comunità.
Nella coscienza di ogni cittadino libero trovare le urgenti ragioni di una nuova e più concreta partecipazione.

Per la laicità delle nostre istituzioni, per il mantenimento dei diritti politici e civili, per la libertà di coscienza e di scelta, per una società aperta e libera.
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martedì 3 febbraio 2009

Maria Mantello: etica laica è libertà

L'etica si occupa dell'agire umano. E' scienza dell'agire. E come tale permette di giudicare la fondatezza morale delle azioni, perché dà i presupposti formali dell'agire bene. Non è quindi un elenco di norme, ma riflessione sulle condizioni e possibilità che garantiscono l'esercizio della libertà di scelta.Ogni azione implica una intenzionalità in vista di un risultato che si vuole conseguire e della volontà per conseguirlo. E' questa volontà che permette la realizzazione concreta dell'azione trasformando un'ipotesi di azione in atto reale. Ma ciò che rende possibile tutto questo è la nostra libertà di scelta. Possiamo dire allora, che l'azione è la realizzazione, mediante la volontà, della individuale libertà di scelta. Una libertà che è indagine razionale sulle possibilità e modalità di scegliere e dimensione pratica di ogni scelta. La nascita è un caso. L'unica cosa certa è che dobbiamo morire. In mezzo c'è la Vita, che si snoda in un tempo storico. Che si articola in spazi e tempi finiti. E' proprio questa consapevolezza della finitezza a dare un ruolo centrale al mio agire nella ineludibile responsabilità del mio esser-ci: particolare, singolare, storico. Dove attraverso le mie scelte mi autodetermino, ma incido anche sugli altri e sulla società.Poiché la libertà di scelta è un esercizio non certo comodo, proprio per la responsabilità che implica, c'è chi spera forse di potersi sottrarre a questo peso ponendosi sotto la cappa consolatoria di comportamenti aprioristicamente stabiliti da altri. Modelli tanto più assoluti quanto più rassicuranti nella speranza di essere assolti dalla libertà di scelta. Di essere sottratti dalla responsabilità dell'esser-ci, del divenire -mondo. Tuttavia, chi si rifugia in questi assoluti non è affatto salvato dalla libertà di scelta. Chi abbraccia pacchetti morali dati una volta e per sempre, sceglie di adeguarsi ad una precettistica. E sua è la responsabilità di farsi portatore di modelli pregiudiziali, di idee blindate che esigono conformismo morale per sé e per gli altri. Un mondo di replicanti dell'Assoluto essere, dove ognuno prima di potersi realizzare in quanto individuo, dovrebbe prioritariamente omologarsi al modello già tutto descritto, prescritto, circoscritto. Ad un'idea di uomo, di donna presupposta. Un mondo di cloni. Dove l'individuo, espropriato dei possibili sperimentabili esistenziali acquieta se stesso magari sperando in disegni provvidenziali, proiettati finanche in immaginifici cieli. Un mondo dominato dal narcotico di un pensiero unico e di un'univoca morale. Un mondo dove ognuno, in una sorta di automatismo psichico, risponda come il cane di Pavlov al suono della campana che ha stabilito per lui cosa è bene e cosa è male. Una volta per tutte ed universalmente. Per fede.Tutto il contrario dell'etica laica, che fonda la scelta buona proprio sull'esercizio di dubitare, discutere, argomentare, verificare. L'azione non è un assoluto. Ma un fatto. E il fatto è descrivibile, analizzabile, dimostrabile per la bontà dei risultati che determina per sé e per gli altri. Per il confessionalismo morale questo è impossibile, perché la bontà dell'azione è ancorata nel trascendente, nella rivelazione. In una interconnessione tautologica di idee supposte: Dio-Anima-Mondo, che pretendono di ingabbiare ogni azione-fatto in un assoluto-morale. Così, nella riproposizione agostiniano-tomista dell'identità tra legge divina e legge umana, riemerge sempre una inquietante voglia di ordine teocratico. Quella che fa dire a papa Wojtyla: "La legge stabilita dall'uomo, dai parlamenti... non può essere in contraddizione con la legge di natura, cioè in definitiva con l'eterna legge di Dio" (Memoria e identità, 2005). Quella che fa pretendere a papa Ratzinger di esigere dallo Stato leggi cattoliche, in quanto "Norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore... dallo Stato... norme che precedono qualsiasi legge umana: come tali non ammettono interventi di deroga da parte di nessuno" (Convegno sulla legge morale naturale, feb. 2007).Ma se l'Etica è quella particolare scienza (téchne - tecnh come la chiamavano i greci), d'indagine critica e di verifica empirico-razionale su ciò che mi fa giudicare un'azione buona, nell'immanenza del progetto esistenziale, l'etica è arte della gestione responsabile della libertà di scelta nella autonomia morale.Sulla differenza tra azione autonoma ed azione eteronoma si gioca la dicotomia tra etica laica e confessionalismo. Per il laico, l'azione non ha la sua giustificazione etica, la sua garanzia in un ordine, un'abitudine e neppure in un capriccio. La garanzia della bontà dell'azione, ciò che la rende eticamente fondata, ciò che ne garantisce, potremmo dire l'epistemologia, è la scelta dell'azione per il fine che ha in se stessa. E' questo che fa buona la scelta. Ad esempio: se scelgo di aiutare una persona in difficoltà, la mia azione non può avere scopo altro, fine altro, al di fuori del fatto che ritengo positivo portare aiuto. Lì ed ora. Del tutto differente, se quell'aiuto è dato in funzione di un premio, o per evitare un castigo. In questo caso il fine è esterno all'azione. E' infatti il premio che ne riceverò, a determinare la mia volontà di agire. E se per avere quel premio dovessi fare l'esatto contrario, lo farei. E' questo il regno dell'eteronomia morale, che proprio nell'uso strumentale dell'azione, ne vanifica la bontà, perché la priva del valore della scelta per il suo valore di senso intrinseco. Ma non solo! Agendo così, uso strumentalmente anche me stesso, assoggettando la mia scelta ad altro/altri. Ad un potere esterno. E' proprio questa eteronomia, a giustificare defezione morale e fuga dalla responsabilità.La morale laica è sgombra dalle presupposizioni degli assoluti, quella confessionale fa degli assoluti il punto di partenza e quello di arrivo. La morale laica non è un sistema di valori contrapposto ad un altro, ma è la dimensione della libertà, ovvero il regno della libertà nella reciprocità delle libertà. Quella confessionale è il regno tautologico dell'eterno ritorno all'eguale. Essere che tarpa ed ingabbia ogni esistente, e che nell'eteronomia falsifica e strumentalizza anche ogni relazione intersoggetiva. Ogni alterità è preventivamente eliminata, fagocitata, schiacciata in un totalitario Io assoluto. Al contrario, se si assume come strategia etica il principio laico dell'ermeneutica della verificabilità, è chiaro che ogni segmento della praxis obbliga a continue rivisitazioni nell'io, e alla comunicazione dialogica con ciascun altro io. Da un tale esercizio etico tutti avrebbero da guadagnare, proprio per le possibilità di garantire libertarie prospettive di asimmetriche pluralità. Solo così l'egoità si apre infatti alla visione degli esistenti possibili.Lo scontro allora non è tra credenti, diversamente credenti o quant'altro. Lo scontro, semmai è tra chi accetta di discutere e verificare, argomentando la bontà dei suoi assunti, e tra chi questo rifiuta. Perché rifiuta quella che Hanna Arent chiamava: "la realizzazione della condizione umana della pluralità, cioè del vivere come distinto ed unico essere tra uguali" (Vita Activa).Allora chiediamo: La garanzia democratica può stare nel declinare la libertà in termini di appartenenza a gruppi chiusi, che vogliono trasformare la democrazia in dittatura della loro maggioranza? O nel declinare la libertà nell'appartenenza civica? Se la scelta è per la seconda ipotesi, non sarebbe più saggio che lo Stato si preoccupasse di garantire ogni individuo dalle pretese omologanti dei confessionalismi e dal loro totalitarismo delle coscienze? "La giustizia - scriveva Epicuro - non è qualcosa che sia di per se stessa: essa è solo nei rapporti reciproci, dovunque e quante volte esista un patto di non arrecare e di non ricevere danno"(Massime capitali, XXXIII). Solo in questo senso, ognuno è salvato dall'ingerenza dell'altro (compresa la pressione del gruppo familiare e sociale) e da ogni fanatismo morale. E' nell'etica laica, allora, che lo Stato deve garantire il diritto di libertà di religione e dalla religione. Ad ognuno secondo i suoi bisogni morali! Allora ecco che l'etica laica, che pretende che i valori vengano giudicati al di fuori dall'impenetrabilità dell'Assoluto Essere, può far paura solo ai dogmatici che non accettano che i principi morali possano essere soggetti a variabili, in relazione alle circostanze oggettive, storiche, in cui si pensa ed agisce. Non accettano che individui, famiglie, società sono il risultato di complesse interrelazioni causali, che si connotano, strutturano e cambiano nel tempo. Ma i paladini del confessionalismo morale, forse, non vogliono accettare soprattutto, che sempre più individui possano prendere coscienza, che attraverso gli Assoluti morali si perpetuano i rapporti di potere dominanti! Etica laica allora significa entrare nel disincanto che non ci sono valori e leggi eterne, ma neppure stereotipie di ruoli, funzionali solo ai padroni dell'anima. Relativismo e secolarizzazione, non sono allora il "demoniaco" da rifuggire, ma la constatazione che proprio dalla liberazione degli assoluti si può produrre una società più giusta. Dove finalmente, potremmo riappropriarci del significato originario della parola ethos, come "posto del vivere concreto", per essere creatori di norme che garantiscano a tutta la comunità migliori possibilità di vivere serenamente. La parola comunità, ha al suo interno una preziosissima radice: "munus", che significa dono, ma anche obbligo. E questo dono non è il sacrificio del proprio sé, ma il dono reciproco nel solidarismo delle libertà. Nella consapevolezza dell'etica laica che: "non possiamo essere costretti da altri a nulla più di ciò a cui possiamo reciprocamente costringerli" (Kant, Metafisica dei costumi). Allora, se da una parte, possiamo e dobbiamo dialogare per convincere che solo su questo terreno, che è quello della laicità dello Stato, si può edificare la civile e pacifica convivenza democratica, dall'altra, dobbiamo avere il coraggio dell'intransigenza contro la pretesa totalitaria di chi vorrebbe far coincidere i diritti umani con i doveri confessionali. Il nemico non è chi professa una fede, ma chi vuole che la propria fede divenga legge per tutti. "Il fanatico -scrive Amos Oz- è un punto esclamativo che cammina. Non ha una vita privata. Appare come un'altruista, visto che si interessa soprattutto agli altri. Ma non lo fa per capire l'altro, lo fa solo per costringere l'altro a essere ciò che lui pensa sia giusto essere. Per costui nessuna forma di mediazione è possibile." Compito dello Stato è allora salvarci dall'ingerenza dei fanatici, proprio attraverso le garanzie dell'etica laica.

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